L'etica e la guerra
di Andrea Saviano


Se

Se riesci a conservare il controllo quando tutti
intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
se riesci ad aver fiducia in te quando tutti
ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
o se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,
o se ti odiano, a non lasciarti prendere dall'odio,
e tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio;

Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
e trattare allo stesso modo quei due impostori;
se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi
o a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, infrante,
e piegarti a ricostruirle con strumenti logori;

Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
e rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
e perdere e ricominciare di nuovo dal principio
e non dire una parola sulla perdita;
se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
a servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
e a tener duro quando in te non resta altro
tranne la Volontà che dice loro: "Tieni duro!".

Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù,
e a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
se non riesce a ferirti il nemico né l'amico più caro,
se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
se riesci a occupare il minuto inesorabile
dando valore a ogni minuto che passa,
tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,

e - quel che è di più - sei un Uomo, figlio mio!

Rudyard Kipling


Ci sono dei beni immensi di cui è difficile apprezzare il valore da piccoli. Ad esempio: la gioventù. Rammento che avevo solo tre anni e stavo parlando con la mamma, tentando di convincerla che io non ero più “piccola” e che per questo motivo non dovevo più mangiare la minestra di verdure.

Solo adesso mi accorgo che, invece, avrei voluto per certi versi rimanere piccola in eterno, perché quella è stata per me la breve età dell'innocenza e, forse, dell'illusione.

Ricordo che a quel tempo le favole mi parlavano spesso della cattiveria umana sotto forma di lupo cattivo e che mio padre, sussurrando, parlava di chi ci governava come se fosse un “lupo cattivo”.

Avevo appena dodici anni quando mio padre parlava di queste cose. Non appena questo capitava c'era un'aria cupa in casa, mia madre in silenzio se n'andava in cucina e lì, senza farsi sentire da mio padre, piangeva.

Vivevamo in una repubblica popolare, eppure se mio padre accennava al “lupo cattivo” i suoi amici, facendo un'espressione triste, sussurravano quasi impercettibilmente la parola “dittatore”.

All'epoca non sapevo cosa fosse un dittatore, avevo la semplice sensazione che non fosse un uomo buono, perché papà ne parlava come fosse qualcuno di cattivo.

Mio zio, il fratello di mia madre, invece ne parlava in un modo diverso. Un po' come quando nelle favole mia madre accennava al cavaliere che sconfigge i mostri o alla fata che miracolosamente risolve tutti i problemi con un semplice tocco di magia.

Una cosa che non capivo di mio zio era perché, pur non essendo un militare, indossasse sempre una divisa.

Lui si definiva: un “guardiano della rivoluzione”. Mio padre lo etichettava come: uno “squadrista”. Mia madre, invece, su tutto ciò taceva e piangeva.

Secondo mio padre chi ci governava era un folle pronto a dichiarare guerra al mondo intero, in preda a paranoie razziali e razziste. Capace, per il medesimo motivo, di spendere i soldi dello stato nella ricerca di armi di sterminio di massa, piuttosto che in ospedali e sempre pronto ad accusare la comunità internazionale di affamare il suo popolo con le sanzioni, ma altrettanto abile a trovare sempre immense risorse per finanziare i suoi progetti personali.

Per mio zio, invece, era un santo. Un uomo illuminato che aveva spezzato le catene che imprigionavano la nazione sotto il dominio occulto dell'occidente e del potere sionista, nonché dalla minaccia plutocratica e capitalista. Tutte parole che ancora adesso io non comprendo bene.

Aggiungeva anche che, da quando c'era lui, tutto nel paese funzionava alla perfezione. Che la nostra nazione era temuta e rispettata e persino le cosiddette super-potenze, anche se a voce alta ci minacciavano, in realtà se la facevano sotto. Il nostro capo, secondo lo zio, aveva restituito una spina dorsale alla nazione.

Mamma spesso piangeva. Piangeva soprattutto per i due fratelli morti in guerre che lei e papà avevano definito assurde. Piangeva perché un mio fratellino era morto a causa della mancanza di medicine.

Mio padre asseriva che mancassero per colpa di chi ci governava, mentre lo zio, al contrario, era convinto che fosse per colpa delle sanzioni che ci aveva imposto la comunità internazionale.

Adesso so solo con certezza che mio fratello morì per una malattia banale, non solo facilmente curabile, ma che non avrebbe avuto se non ci fossero stati problemi nell'approvvigionamento alimentare, perché in quegli anni ci nutrivamo essenzialmente di una specie di focaccia molle. Un insieme di cereali e acqua, fatta rapprendere nell'acqua e poi abbrustolita sopra le braci. Sempre quello, tutti i giorni. Solo nei giorni di festa la mamma ci buttava dei pezzi di carne dentro e noi bambini eravamo così contenti che saltavamo intorno alla pentola cantando con gioia.

Eravamo stati benestanti, ma adesso eravamo decisamente poveri, così diceva papà, ma c'era tanta gioia, anche se mamma spesso piangeva. Allora non capivo, ma adesso, che il velo dell'innocenza è stato tolto dai miei occhi, coprendo i suoi perché.

A quei tempi, anche se da anni mio padre non insegnava più all'università, tutti lo chiamavano “professore” e lo apprezzavano, ad eccezione di zio.

Parlava bene, così dicevano tutti. Diceva cose giuste, così bisbigliavano tutti. Aveva le idee chiare su chi ci governava e su cosa si sarebbe dovuto fare, così ne erano convinti tutti, anche se nessuno diceva mai niente a voce alta e nemmeno sussurrando. Tutti, semplicemente, annuivano.

A quel tempo giudicavo gli adulti come dei tipi strani, quasi fossero degli esseri che provenivano da un altro pianeta. Così complicati ed imperscrutabili da sembrarmi impossibile l'idea che un giorno anch'io sarei diventata come loro, cioè un adulto.

Lo zio aveva idee molto diverse su mio padre. Lui lo definiva addirittura un pericolo per la nazione. Un folle idealista. Spesso, quasi urlandoglielo in faccia, gli ripeteva: « La democrazia è un'illusione. È il sistema inventato dai capitalisti per mettere sugli scanni del potere i “loro” uomini. Guardati intorno! Apri gli occhi!! Ammetti la follia dei popoli che credono nella democrazia!!! »

« Tu dimmi dov'è la dignità della persona. » Gli rispondeva pacatamente mio padre. « Che senso ha uccidere il nostro vicino solo perché veste differentemente da noi o crede in un dio in cui noi non crediamo. Dimmi che dignità c'è nel tutelare il delinquente che veste e parla alla nostra maniera, solo perché ha assassinato qualcuno che la pensava differentemente da noi o era di un'etnia che noi detestiamo. »

« Lascia stare i miei fratelli! »

« Smettila di dire che sono morti in guerra. Ammazzare gente innocente facendosi esplodere in mezzo a loro non è guerra. La guerra, per quanto sporca, ha una sua etica! Siete lupi con gli agnelli!! »

Io, impaurita da loro due che gridavano a voce alta, correvo in cucina da mamma e le chiedevo se i suoi fratelli fossero morti in guerra o facendo le cose cattive che diceva papà e lei, a questo punto, cominciava a piangere.

Un giorno. Un brutto giorno. Uomini vestiti come lo zio entrarono in casa gridando come dei matti. Non capivo cosa dicessero. Più gridavano e meno si capiva ciò che dicevano.

Mi padre, nonostante ciò, li accolse con il sorriso, dicendo loro: « Non c'è bisogno di gridare. State solo spaventando la mia famiglia. Non c'è bisogno di tutto questo. Vi seguirò ovunque sia necessario andare. »

Questo è l'ultimo ricordo di mio padre e dei suoi libri.

Qualcuno, giorni dopo, sempre vestito della stessa divisa dello zio, venne a trovarci. Li raccolse in un gran cumulo e, ridendo, vi diede fuoco.

A papà la cosa non sarebbe piaciuta. Lui andava molto orgoglioso dei suoi libri. La mamma diceva sempre che avevano speso una fortuna in libri e che adesso con quelli non ci compravi nemmeno l'aspirina.

Tempo addietro, stranamente cattiva in faccia, gli aveva strillato: « Cosa ti hanno dato quei libri? Non sono stati nemmeno in grado di salvare nostro figlio! »

All'epoca pensai solo che era strano vedere la mamma così cattiva con papà e che papà, per quanto ne sapevo, non era un medico e, quindi, non avrebbe potuto con i libri salvare mio fratello. Adesso, che i miei occhi vedono in maniera limpida la verità, comprendo che mia madre intendeva il fatto che nessuno voleva comprare i libri di papà, nonostante fossero costati molto, e che per comprare le medicine ci volevano soldi, tanti soldi.

Mio padre, sereno in volto, aveva saputo mantenere la calma. Lui non perdeva mai la calma. Aveva abbracciato la mamma e le aveva sussurrato all'orecchio, baciandola, « Mi hanno dato la dignità, amore mio. La dignità. »

Dopodichè, avendomi intravista in fondo alla stanza, era venuto da me e mi aveva recitato una bellissima poesia. L'aveva scritta un inglese, credo, almeno il suono che produceva il suo nome sapeva d'inglese, ma poteva benissimo essere un americano o un australiano. Era una poesia piena di se e, ricordo, era bellissima.

Anche se mi sono spesso riproposta di rintracciare quella poesia e quell'autore, la vita mi ha sempre posto davanti altre priorità, così nella mia memoria la conservo con il semplice nome della poesia dei se.

Comunque, mio padre non tornò più.

A portare la notizia della sua esecuzione fu mio zio. Mia madre, a quell'annuncio si sentì mancare e s'aggrappò a lui, alla ricerca di sostegno.

Lui l'allontanò, lasciandola cadere riversa sul pavimento in lacrime, dicendole: « Ben gli sta, se l'è voluta lui! »

Io ero in fondo alla stanza, capivo e non capivo. Capivo che mio padre era morto assassinato volontariamente da qualcuno e non capivo chi avesse mai potuto uccidere un uomo così buono e sensibile come lui era.

« Tu cos'hai da guardare? Fila a letto! » Mi strillò in faccia.

Faceva il duro, mio zio, ma era anche lui scosso dalla notizia dell'esecuzione di mio padre. Mio padre era un uomo giusto e l'unica ingiustizia che aveva commesso era quella di pensare diversamente dal regime e questo, anche a mio zio, sembrava troppo poco per giustificare un omicidio.

Da quel giorno fu mio zio ad occuparsi della famiglia. Da quel giorno lui non indossò più la divisa e divenne un altro uomo.

Per quanto ne so, nemmeno lui era un uomo cattivo. Per quanto ne so mio zio credeva veramente in certi ideali.

CONTINUA